Copio & incollo un commento su questa cittadina nella quale sono nato e vivo la maggior parte dell’anno. Difficilmente faccio dei copiaincolla da Internet, se l’ho fatto qualche volta è solo per riportare delle sonore cazzate. Ma questa volta non è, purtroppo, argomento di derisione. Non vorrei perdere traccia di questo commento di Enrico Musso perchè riassume alcuni punti che io ripeto a me stesso da anni. Esperienza diretta.
Questo è il sito web di Mente Locale; Genova, crisi irreversibile ?
E questo è il copiaincolla.
Tra capodanni, befane e carbone si annidano il tempo e i pretesti per i buoni propositi, per fare il punto, per azzardare bilanci. Ciascuno lo fa per sé, e purtroppo qualcuno lo fa per tutti, le città, i paesi, il mondo. Statistiche, inchieste, reportage, dotti commenti. E la sintesi è: uno, la crisi pare alla fine, molti paesi sono in piena ripresa. Due, l’Italia ne è lontana, se ne riparla fra un annetto. Tre, Genova è in coma.
Non lo dico io, purtroppo, ma una raffica di dottissime analisi su molte testate per lo più di sinistra o di centro, nell’insieme assai credibili. L’ultima in ordine di tempo, a ridosso di San Silvestro, è comparsa su uno dei maggiori quotidiani italiani. Titolo (per la serie la tocco piano): «Genova, la città polveriera dove muoiono i sogni e il futuro non arriva». Alegher, alegher. E se per caso non fosse chiaro il concetto, il catenaccio aggiunge: «Un passato di occasioni perse, gli scioperi e le polemiche: è il lungo inverno dello scontento».
In principio, tre o quattro anni fa, un articolo del Financial Times, nell’unica occasione in cui ha parlato di noi, ha descritto Genova come «un sito storico condannato alla marginalità», caratterizzato da «un caos di pianificazione patologica senza alcuna visione strategica». Carini.
Nell’ultimo anno si sono moltiplicati i reportage funerei da Genova, fino a quest’ultimo. Il prossimo articolo lo facciamo scrivere direttamente al coroner. Genova come uno specchio che amplifica tutto quel che non va in Italia. Manca il lavoro perché le aziende private chiudono o scappano (di solito chiudono le piccole e scappano le grandi). Quelle pubbliche – in particolare quelle del Comune – sono in profondo rosso e vengono tenute in vita artificialmente con i soldi dei contribuenti, accelerando la crisi delle microimprese private e alimentando la spaccatura fra chi almeno mantiene un lavoro garantito e chi lo perde. Anche perché entrambi se la passano peggio di prima e non sono disponibili a dedicare troppa attenzione alle ragioni altrui.
Non c’è un solo settore produttivo in cui l’occupazione sia aumentata. Il tasso di disoccupazione dei giovani ha raggiunto livelli record, mitigato soltanto – paradossi della statistica – dalla loro emigrazione (un metodo infallibile per non avere più giovani disoccupati è non avere più giovani, chioserebbe monsieur de La Palice, e in effetti ci stiamo provando). Anche il prodotto pro capite è tra i peggiori del Nord – per la gioia di chi voleva la decrescita – e la Liguria è l’unica regione del Nord per la quale, e da anni, il flusso dei soldi che arrivano da Roma a vario titolo (pensioni, sovvenzioni ad aziende, cassa integrazione, stipendi pubblici) è maggiore del flusso di tasse che procede in senso opposto.
Le tasse, dal canto loro, aumentano. Sia perché in questi anni hanno continuato ad aumentare quelle nazionali (non solo con i governi Prodi e Monti, che almeno lo hanno ammesso, ricordando il dovere di risanare la finanza pubblica, ma anche coi governi Berlusconi e Letta, che hanno spavaldamente raccontato il contrario), sia perché, tutte le volte che potevano, i governi della Liguria e di Genova ne hanno aggiunte di proprie (tasse sulla casa, addizionali regionali, etc.) per sistemare bilanci non proprio virtuosi.
Gli alti costi della politica non ne assicurano il buon funzionamento, anzi. Su tutte le grandi scelte decisive per il futuro della città pesa l’immobilismo, l’indecisione e l’ondivaghezza dei politici (e non solo), la tendenza a non prendere decisioni per non scontentare questa o quella lobby e non scompaginare coalizioni già fragilissime, tenute insieme solo dall’esercizio del potere.
Dalla gronda autostradale alla gestione delle aziende comunali, dalla metropolitana all’ospedale del Ponente. Decidete qualcosa, una buona volta, qualcosa di sinistra, oppure di centro, oppure di destra, fate un po’ voi. E poi, buon Dio, fatelo. Invece no. E così, al costo vivo della politica si aggiunge quello delle sue non-decisioni, così come quello di una burocrazia dilagante e senza controllo, che rende impervia qualunque iniziativa privata, incluse quelle legate alla creazione di nuovo lavoro. E nella città bloccata aumentano divisioni e intolleranza. Il che è in parte una naturale patologia di un tempo di crisi: ciascuno, davanti ai sempre più magri raccolti del proprio orticello, allunga lo sguardo e trova l’erba dei vicini straordinariamente più verde. Ma in parte è anche il frutto avvelenato di patologie tipicamente genovesi, almeno nella Genova dell’ultimo quarto di secolo: la città dominata da un blocco di potere politico-affaristico, che ha tenuto in scacco le energie sane della città, facendole fuggire o costringendole a compromessi per essere cooptate nella stanza dei bottoni, e dei bottini.
In questo modo si mettono giovani contro anziani, privato contro pubblico, lavoratori dipendenti contro lavoratori autonomi, cittadini contro amministrazione, e (persino) destra contro sinistra. Un circolo vizioso cominciato ben prima dell’attuale sindaco, ma che lui non aiuta certo ogni volta che – a corto di proposte concrete per la città – si rifugia nella descrizione di se stesso come il politico onesto, puro e morale, distribuendo implicitamente agli altri, inclusi i suoi stessi alleati, patenti di falsità e disonestà.
Se questi sono i bilanci – tracciati non da me, ma da autorevoli analisti di molte testate e confermati da oggettive statistiche economiche e sociali – sarebbe facile confinare i propositi d’inizio d’anno all’invettiva e al vaffanculo. Incontro quasi ogni giorno cittadini che mi parlano male del sindaco, come se fosse tutta colpa sua, e lo qualificano come inadeguato (di solito usano vocaboli un po’ meno British). A me tocca difenderlo. Un po’ perché penso che il giudizio sia ingeneroso, e perché non ho comunque la prova che io avrei fatto meglio se avessi fatto il sindaco, cosa di cui si dicono invece sicuri i miei interlocutori, compresi quelli che hanno votato per lui.
Ma soprattutto perché se è davvero inadeguato il problema sono i genovesi che lo hanno eletto, non lui che si è legittimamente e meritoriamente messo a disposizione. C’erano 13 candidati sindaco, ce n’era per tutti i gusti. Chi ha votato per lui può essere contento o scontento, ma prima di tutto di se stesso. Almeno fino alle prossime elezioni.
Vorrei invece che, complice il periodo, fossimo capaci di trarre buoni propositi sia dal terrificante rosario di sfighe evocate da tutti quelli che parlano di noi, sia da questa mortifera ricerca del capro espiatorio attraverso la quale tutti cercano di non fare i conti con la propria incapacità di cambiare. Di realizzare, o, come diceva Gandhi, di essere essi stessi il cambiamento che vogliono vedere in questa città. Che palle, la morte dei sogni e anche il shakespeariano inverno del nostro scontento (ma non dovrebbe a un certo punto esser mutato in radiosa estate dal sole di York, e tutte le nuvole che incombevano minacciose esser sepolte nell’oceano eccetera? che poi Riccardo III era uno che di politica se ne capiva).
Gli esperti in buoni propositi di Capodanno, sempre per tenerci su di morale, assicurano che ci ricorderemo di seppellirli più o meno il primo lunedì di febbraio, uscendo al mattino con una settimana di lavoro davanti, un cielo plumbeo sopra e già qualche delusione dietro, e speriamo solo quella. E concludono, i guru dei buoni propositi, che bisogna concentrarsi su uno solo.
Proviamo con questo: smettiamo di lamentarci di quello che non va e degli altri che non sono capaci; chiediamoci come possiamo, noi, noi insieme, noi tutti insieme, far ripartire questa città. Cominciamo a farlo qui, oggi, da Mentelocale (io scrivo qui ogni due settimane e vi giuro che non vi mollo), dalla rete, ma anche dai bar e locali ancora aperti, dai campetti e dalle palestre, dall’università, dagli oratori, dai centri sociali, dalle piazze. È un buon proposito che li contiene tutti, o quasi. Abbiamo un anno davanti. E, a dire il vero, forse non molto di più.
Enrico Musso © copyright Mentelocale Srl, vietata la riproduzione.
Copiraigt una sega; per una volta che trovo qualcosa di ben scritto e che riflette il mio pensiero senza sbavature, lo copio e lo incollo.
Altro argomento. Siamo sicuri che per acquistare un maxi-scooter non si deve prima fare un test per comprovare la propria imbecillità ? Oppure scendendo dal Righi incontro sempre gli stessi motocoglioni con il loro stile di guida che mi spingerebbe a mettergli la marmitta su per il culo ? Just asking…
Altro argomento. Non ho pulito o asciugato le lenti delle webcam Levante e Centro; si sono sistemate da sole. Io vorrei andare a controllare entrambe, ma il tetto è sempre umidiccio ed è ricoperto ora da una intera puntata di Focus sui licheni ed altre piante mono o pluricellulari note per quanto son viscide. L’ultima volta che sono salito sul tetto ho rischiato sul serio di cadere, stavolta cadrei di sicuro. Sticazzi privi di grip.
Quanto dice Musso è quello che penso tempo. Ma su una cosa non sono d’accordo: sarà anche vero che non è tutta colpa del sindaco, sicuramente, ma qualunque professionista oggi deve dimostrare continuamente di essere competente e adeguato per il ruolo per cui è pagato, altrimenti riceve un sonoro calcio nel culo (anche perché oggi a tempo indeterminato non assumono più nessuno); perché questo non vale mai per gli statali? Perché non ci sono meccanismi per verificare se le persone sono all’altezza del ruolo che ricoprono? Non stiamo parlando del dirigente del circolo di briscola del quartiere, eh…
Comunque il succo del discorso è che la democrazia richiede una partecipazione attiva e organizzata del popolo, cosa che qui in Italia è impossibile, poiché incompatibile il nostro individualismo sfrenato. A Genova poi ormai regna l’anarchia più assoluta, basta guardare il comportamento della gente per strada. Si salvi chi può!
Non entro nel merito dell’articolo di Musso. Vorrei fare qualcosa ma da buon genovese sono solo capace a lamentarmi e basta. Per lo meno ho cercato di abbassare l’età media della Liguria producendo un piccolo erede. Fra 17-18 anni il mondo sarà suo!
I maxiscooter. Io possiedo il peggiore di tutti (almeno il simbolo dello “zarro” con il maxiscooter): il Tmax. Esso eroga circa 42CV (12 in più di una Panda 750 di qualche anno fa) ed è in grado di fare da 0 a 100 in un paio di battiti di cuore.
Questo non vuol dire che IO (sottolineo IO) usi SEMPRE tutti i CV e tutta l’accelerazione. Anzi, sono abbastanza prudente, per quanto possibile, me soprattutto cerco di non fare manovre idiote o pericolose che mi facciano mandare mille maledizioni dietro.
Tra l’altro non ho un casco jet “Momodesign” (simbolo del tmaxista caccaro), ma un modulare che tengo sempre chiuso. E mi chiedo giornalmente perché ci sia una percentuale di imbecilli veramente alta alla guida di mezzi come il mio.
Che pessimismo, che fastidio.
Ma sì, anche la mia auto ha la motorizzazione top con un discreto numero di cavalli, che uso con la testa, però il discorso è a monte.
Genova è una città che aveva/ha grosse e importanti aziende ma oggi non offre lavoro, ha una buona dose di ricchi ma non gira un euro, ha un grande porto ma sia i container che le navi da crociera vanno altrove, parla di infrastrutture da decenni ma fa costruire solo appartamenti (nonostante il calo demografico), dice di voler migliorare ma si scaglia contro qualunque cambiamento (dal tecnico al politico), dice di volere i giovani ma fa di tutto per farli scappare (come se gli anziani fossero pochi). È praticamente l’avanguardia della decadenza, una città ormai brutta e invivibile, grazie agli altissimi livelli di inciviltà ed egoismo. E anche il resto dell’Italia non scherza, anzi, non a caso è il paese più in crisi tra quelli in crisi di pari popolazione/potenzialità.
Alla fine è quello che ha detto Musso, anche se non va in fondo alla questione: se il potere, in tutti i sensi, è in mano ai cittadini ma questi o non sanno o non voglio fare qualcosa, come se ne esce?
Per quanto riguarda me, anche io sono genovese e mi lamento, ed è esattamente quello che sto facendo ora, ma è anche vero che, nonostante speri e progetti di andarmene, vivo e lavoro qua e lo faccio per bene e in maniera civile. Non è poco. Però far nascere e crescere i miei figli qui… a parte la domanda “con quali soldi e quale lavoro?”, questo forse è un po’ troppo, spero davvero di riuscire ad andarmene da qui il prima possibile anche per loro.
Come cittadinanza io credo si sia inesistenti. E’ un fenomeno che io ritengo epocale, assoluto, tanto profondo che personalmente non riesco a disegnare uno scenario da qui a 10 anni perchè non mi è possibile immaginare uno scenario se la cittadinanza è muta e rassegnata. Genova secondo me è – ancora ed in buona misura – una città dalle caratteristiche architettoniche, storiche ed urbanistiche straordinarie, per certi versi uniche a livello planetario. Manca secondo me il capitale umano, senza il quale non c’è futuro. Possiamo far conto sulle prossime generazioni ? Questo non posso saperlo perchè non ho figli.
Sperando di non aver frainteso parti del tuo commento, alcuni rapidi pensieri:
– i genovesi non sono rassegnati (la lamentosità non conta, in quanto sport cittadino), hanno semplicemente deciso che va bene vivere così, il prezzo da pagare è adeguato, motivo per cui tacciono;
– è vero, Genova potrebbe essere un ottimo posto dove vivere per mille ragioni, non solo dal punto di vista architettonico… eppure non lo è;
– difficile dire se manca il capitale umano; io l’ho visto, sebbene si nascondi in una netta minoranza. Forse il problema è culturale, se prima della seconda guerra mondiale c’è stato purtroppo il fascismo, dopo c’è stato il nulla più spinto. Che è esattamente quello che riescono ad esprimere oggi gli italiani.
– mai sperare che i problemi li risolva qualcun’altro, oltre che immorale è da ingenui. Ma anche supponendo che le prossime generazioni vogliano farsi carico dei casini altrui, siamo sicuri che sarebbero in grado di gestirli avendo avuto noi come genitori e insegnanti?
Comunque questa discussione non è consona al sito, troppo seria e priva di parolacce. Cazzo.
Ecco, si: questo è un blog davvero patetico, sono sorpreso e talvolta turbato che ci sia qualcuno che lo legge al di fuori di me stesso, e non escludo che anche tu sia frutto della mia forma schizoide e multipla personalità che mi affligge da almeno 3, forse 4 generazioni.
A scanso di equivoci: cazzo, figa, tette e culo, perchè questo è un blog cazzaro, con rispetto parlando dei veri blog cazzari che sono altri.
Comunque rispondo e puntualizzo come segue.
– Non so quanti genovesi siano rassegnati, quanti siano soddisfatti, quanti se ne strapazzino l’acciuga. Fatto sta che non ci sono cambiamenti, ma un lento deterioramento.
– Hai ragione ovviamente, anche a Genova esiste del “capitale umano”. Pensa che – te lo giuro – ho conosciuto funzionari del comune di Genova che sono ottime persone, preparate, oneste. Luci nel buio generale, perchè temo siano poche, una minoranza numerica e funzionale, si perdono nella complessità della macchina, che dunque funziona male/malissimo. Temo ci sia un altro problema; più si sale nella scala gerarchica, e meno luci mi sembra di riuscire a vedere per arrivare, in località stanza dei bottoni, ad un silenzio, un buio della ragione quasi assoluto.
– Noi siamo generazioni perdute. Non risolveremo mai i nostri problemi, non siamo uno Stato, non siamo una Nazione, non abbiamo il senso del bene comune. E’ un discorso trito e ritrito, noto a chi si pone il problema. Secondo me il popolo bove non ha comunque la forza di cambiare il sistema, non lo ha mai avuto nella storia nonostante quello che ci hanno talvolta insegnato a scuola, il popolo non autodermina il proprio futuro. Il cambiamento arriva dall’alto, nel bene e nel male. Arriva da una elite di persone che hanno potere, denaro e voglia di comandare. Oggi dall’alto arrivano quasi esclusivamente pessimi modelli ed esempi. Secondo me l’unica speranza è che tra le nuove generazioni la massa critica di individui NON disonesti cresca e che un giorno occupi i posti che contano imprimento una rotazione positiva al sistema.
Comunque: sticazzi alla massima potenza, WARP STICAZZI.
Ok, ora ho capito meglio anche il commento precedente e mi trovi d’accordo al 120% / l’attuale_tasso_di_interesse_della_BCE * lo_spread ^ disoccupazione. Si potrebbe parlarne all’infinito ma ho capito che hai capito che abbiamo capito quello che c’era da capire sull’argomento. Anzi, non avrei saputo descrivere meglio l’attuale situazione nonché fondamentali di questa inettocrazia.
Comunque, tornando alle cose serie, sappi che seppur ad intermittenza e con poca costanza, per mancanza di tempo e non per la qualità delle cazzate, sono un lettore dal Day 1, anzi dal Post 1. In verità frequentavo già da prima, anni fa, quando il sito era ancora veramente brutto.
Buona giornata!
Però la home page in questi ultimi 9 anni ha avuto diverse fasi; quella azzurrina, quella giallina e quella nera. Poi questa meno cinerea. Credo di avere conservato la home page di una volta. Era una marmellata di colori e forme. Si, forse un po’ è migliorata.
Genova è mal messa, di genovesi ne sono rimasti pochi, sempre meno, e quei pochi rimasti sono tutti nei posti di potere. Vorrei vedere amministrare la città (provincia, regione) da non genovesi. Voi pensate andrebbe meglio? Forse sì, forse no, ma peggio di così…..
Comunque i genovesi popolo (fra i quali io) mugugnano, i genovesi governanti lasciano mugugnare e si fanno gli affari loro in combriccola (in questo sono alleati trasversalmente rispetto gli schieramenti politici). Le votazioni: ogni candidato propone il proprio programma, in base al quale poi uno verrà eletto; se dopo pochi mesi, un anno al massimo, quel programma viene completamente disatteso, che potere hanno gli elettori di pentirsi di aver votato un venditore di fumo e mandarlo via?: nessuno, tocca tenerlo fino a fine mandato (e questo anche a livello di governo nazionale). Siamo infilati in un “cul de sac” da cui è difficile uscirne solo votando e rivotando, perchè l’apparato politico si è blindato con un sistema per cui sono sempre i soliti a muovere le leve. Nel 1960 a Genova ci fu un bel casino di piazza per cui cadde un governo: ed ora che ci sarebbe bisogno di un casino analogo che si fa? Si mugugna e basta, si fanno analisi politico-economico-sociologiche della situazione e tutto resta com’è, perchè DEVE restare com’è. Forse un altro 1960 verrà da chi fra pochi anni sarà senza lavoro, o senza pensione, o senza cassa integrazione, o senza chissà quale ammortizzatore sociale. Chi vivrà (e ci sarà) vedrà.