Siete stati in Cina ?

Lately ?

Ce lo hanno chiesto in aereoporto a Genova, a Francoforte ed infine a Newark. In teoria gli addetti al controllo dovrebbero verificare sul passaporto se ci sono timbri di ingresso ed uscita dalla Cina. Non mi é chiaro cosa succede se uno risponde “sono tornato tre giorni fa” o peggio ancora se dice di non essere mai stato in Cina e poi lo stanano con i timbri sul passaporto dove c’é la prova che é appena rientrato. Lo mettono in quarantena ? Dove ? Nel reparto surgelati ? In una cella senza finestre ? Gli prendono la temperatura e poi lo chiudono in un armadietto tipo spogliatoio ? Lo radono a zero e poi gli fanno una bella lavanda intestinale che non fa mai male ?

A Newark in aeroporto c’é una stanza grande come un campo di pallone che viene riempita dai passeggeri che passano i controlli dell’immigrazione. Fatto sta che in genere noi atterriamo quasi contemporaneamente ad un volo da Pechino ed uno da Hong Kong. Nella stanza ci sono centinaia di persone, tre file diverse a seconda del tipo di visto e molta pazienza. Questa volta c’eravamo noi del volo da Francoforte e basta. Lo stanzone era praticamente deserto. I cinesi all’immigrazione sono ordinati e silenziosi, vengono guidati docilmente dal personale e sono sempre in gruppi numerosi, talvolta con un probabile capogruppo che mostra documenti che potrebbero rappresentare il gruppo di persone appresso. Ma questa volta non ce n’era uno.

E saremmo usciti in meno di 5 minuti se non fosse che all’immigrazione abbiamo destato dei sospetti. Avevo con me un tubo di cartone con dentro una grossa foto del Rex in cantiere a Genova negli anni 50. Era un regalo di Stefano Goldberg ed ho pensato di portarla a New York, protetta nel tubone di cartone. Il primo agente forse non lo ha neppure visto, le domande di rito gruppo 1 sono “perché venite qui, chi conoscete qui, quanto state qui”. Il primo agente non ha visto il tubo e chi ha fatti passare. Il secondo agente invece ha notato il tubo ed ha iniziato le domande del gruppo 2. Ovvero non mi hai convinto ed ora cerco di metterti in contraddizione. Mi richiede le domande base e poi mi chiede cose c’é nel tubo, perché ho deciso di portare una foto qui a New York che poi me la riporto indietro, che lavoro faccio, se ho parenti che vivono a New York. Non la riporto dietro – gli spiego – la metto a casa. Vuole vedere la foto ? In tutta risposta questo ci requisisce i passaporti e ci indica di seguirlo. Ci dice di rimetterci in coda da un altro sportello e si mette a confabulare con un collega. Questo terzo agente mette su lo sguardo dell’ispettore Clouseau e mi intervista di nuovo. Stesse domande del gruppo 1 e 2 ma ripetute due volte in ordine scarso. Gli spiego che abbiamo casa ed ecco perché veniamo frequentemente. Mi dice che mi sto contraddicendo (che non é vero) e che secondo lui ho fornito troppe informazioni che non mi aveva chiesto. Sono addestrati a comportarsi in questo modo. Cercano di mettere il sospetto in condizioni di difesa e dunque di fargli fare degli errori, di dire cose incongruenti, di ammettere che forse ci sono cose che non pensava fossero utili, studiano la tua faccia, le tue espressioni. Infine questo si alza e con fare grave ci conduce in una stanzetta dove ci dice di sederci e se ne va. Nella stanzetta ci sono altri banconi ma qui gli ufficiali sono sopra un alto gradino e dunque per guardarli devi alzare la testa. Anche questo credo sia studiato a tavolino. Il primo che incontri é seduto mentre tu sei in piedi e dunque lo guardi leggermente dall’alto verso il basso. Il secondo é in piedi e ti affronta di petto con lo sguardo orizzontale. Il terzo é di nuovo seduto ma qui gioca lo stress di dover rifare la procedura da zero. Infine il quarto é messo come un giudice in tribunale, dietro una imponente scrivania rialzata di una trentina di centimetri. Se hai qualcosa da nascondere, un po’ di apprensione ti viene.

Dopo qualche minuto vengo chiamato al bancone da un quarto agente che questa volta sbuffa e mi dice che non devo aggiungere nulla, che qualche suo collega é talvolta troppo agitato, mi restituisce i passaporti e mi congeda gentilmente. Dai nastri del ritiro bagagli in genere c’é una bolgia infernale. Ed invece era vuoto pneumatico. Anche fuori dalla dogana l’aeroporto sembrava vuoto. Mi capitava cosí quando viaggiavo in USA negli anni ’80 con voli notturni perché costavano molto meno. E per concludere, nessuno in coda dai taxi. Abbastanza surreale. Comunque, mai piú tubi di cartone.

Abbiamo raccontato ai parenti che abbiamo viaggiato cosí per sfuggire il coronavirus cinese. Io indosso gli occhiali dei Minions e Miriam degli occhiali da saldatore che avevo preso per guardare l’eclissi qualche anno fa. Qualcuno fa finta di ridere ma sotto sotto ci crede. Non pubblico questa foto su qualche social pubblico. In Cina la gente muore e c’é ben poco da ridere, l’unico mio scherno é rivolto a noi stessi, e segnatamente nei confronti di Miriam che se non si sentisse davvero ridicola, girerebbe vestita cosí.

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