Di ritorno da una due giorni all’estero, città nord europea. Cena di lavoro in un ristorante italiano, location scelta dai padroni di casa. Nelle recensioni che avevo anticipatamente cercato on line, i locali dicevano che è autentico italiano. Tra le cose positive vengono citati i “singing waiters“.
Parliamone. Immaginavo che ci fossero dei camerieri che ogni tanto si improvvisano canterini, imbracciano una chitarra e strimpellano o sole mio oppure cantano brani di opera. La cosa non mi sarebbe affatto piaciuta, anzi detesto proprio la gente che canta mentre mi nutro. Ho bisogno di quiete. Mi sono mentalmente preparato per lo strazio imminente.
Uno dei locali più rumorosi di tutta la mia vita. E sono aduso ai ristoranti di New York, in genere molto, ma molto rumorosi. Ma in questo specifico ristorante il volume dei commensali era innaturale; non lontano da noi c’era una tavolata di 5 locali che tra di loro parlavano come se fossero stati in un cazzo di tunnel del vento, o sulla tolda di una nave nel mezzo di un uragano. E ridevano costantemente come se dal volume dipendesse la loro autostima o forse anche la vita. Li avrei uccisi.
Abbiamo aspettato un’ora da quando abbiamo ordinato. Il cibo sarà anche stato di buona qualità ma era pasticciato, con burro ad oltranza ed erbette che non si usano sulle sponde del Mediterraneo. Vino di casa mediocre come da noi se ne vedono pochi. Insomma, ristorante italiano ma con influenze anglosassoni deleterie.
Veniamo al canto; la prestazione dei camerieri tra i tavoli si limitava ad una serie di “ooooo” oppure “aaaaaa” o “lalalalala” strillati con voce tonante. Punto. Ad intervalli regolari uno di loro urlava con tutto il fiato che aveva in gola cose prive di senso come “sette alla sei” oppure “venite di qui” o “andate di la”. Come se il rumore nella sala non fosse abbastanza.
Ora, per questo popolo nordico evidentemente i ristoranti italiani sono così. A fatica ho cercato di spiegare ai miei vicini di tavolo, un cileno, un inglese ed un greco, che dove vivo io se un cameriere passasse tra i tavoli urlando “lalala-lololo” i clienti lo fisserebbero ammutoliti e qualcuno finirebbe per scocciarsi, o chiederebbe se in sala ci fosse un medico che potesse valutare le evidenti, preoccupanti condizioni mentali del cameriere urlante.
Il volo di rientro, Easy Jet su Malpensa; qualcuno intorno a me probabilmente aveva mangiato esclusivamente aglio per almeno una settimana prima di salire a bordo. Mi è rimasto il fetore del suo merda di fiato nel naso per tutta la A26 fino a Genova.
Ho messo su una foto del tramonto per bilanciare il racconto di questa esperienza breve ma con alcuni connotati notevolmente fastidiosi.