Per una volta spreco il mio tempo per cose estranee alla Pozzanghera ed alle webcam. Premesso che non amo particolarmente il genere umano, mi servo di Miriam e degli amici per riempire il mio vuoto esistenziale in attesa dell’olocausto ambientale, spero mi colga tra i miei alberi a Basaluzzo, insomma, ottimismo a non finire.
Talvolta mi capita di dover partecipare ad una riunione di lavoro. Per fortuna ci sono le conferenze telefoniche, che sono sicuramente meglio che andare di persona, fare ore di auto o dover prendere un aereo per incontrarsi e parlare di cose scontate o inutili. Intanto spesso le decisioni, quelle che contano, vengono prese con e-mail. Ma c’è chi sostiene che tra soci di affari ci si deve parlare. Riesco a saltare le cene di lavoro, che sono la summa di tutte le rotture di coglioni professionali. Non importa se in genere vengo collocato tra i peones delle holding, tra quelli che rappresentano le minime partecipazioni, i dimenticati dei patti parasociali. In un tavolo di gente che non conosco, dietro a qualche colonna o vicino alla porta della cucina o dei gabinetti, quasi al buio. Dai tavoli delle persone importanti arrivano bagliori di luce e suoni armoniosi. Noi nel tavolo delle persone meno influenti, facciamo fatica ad avviare uno straccio di conversazione, se a questo si aggiunge il fatto che la lingua comune è l’inglese, sto diventando sordo e non capisco gli accenti e comunque di intavolare una conversazione non me ne potrebbe fregare meno di un picocazzo.
Dunque ben venga la conference call. Ieri però ero completamente senza voce. Miriam ed io siamo stati infettati da questo virus di cui i giornali non parlano, io ci vedo i primi timidi tentativi di qualche batterio che sta prendendo le misure per decimare la popolazione umana, unica strada per salvare la vita su questo pianeta. Ricordo bene le influenze che prendevo da bambino. Una settimana e poi passava. Adesso è meno violenta ma dura settimane e settimane.
Ad ogni buon conto, la telefonata di gruppo iniziava alle 10:30 ora di Londra, ma in apertura delle discussioni volevo avvisare i partecipanti che ero senza voce. Ovviamente il termine voiceless mi sembrava troppo scontato, scolastico, banale, roba da prima media. Sono andato su Google per cercare il vocabolo che non ti aspetti, quello di Oxford che sui vocabolari indicano come obsoleto ma che fa figo e mostra una cultura avanzata. Ed ecco cosa mi è saltato fuori.
Avrei sicuramente fatto un figurone a dire che ero “conclusion”, solo dopo aver spiegato che io parlo bene l’inglese e lorsignori, perlopiù di madre lingua inglese, non capiscono un cazzo. Perchè Google ha sempre ragione, fatto salvo che ha pensato che io fossi un abitante delle isole Samoa. Insomma, afono in inglese si dice voiceless, altro che latinismi.
Durante una conference call posso fare molte cose che al bordo di un tavolo da riunione non potrei. Ad esempio mettermi un dito nel naso, o due, fare delle facce strane. Scoreggiare (ma dev’essere silenziosa) o sbadigliare, guardare fuori dalla finestra con la faccia sconsolata, non dovermi mostrare interessato anche se ci sono persone che non capisco quando parlano. Ridere a battute che non mi fanno ridere o che proprio non capisco. Anche questa riunione è servita collegialmente a nulla, alcuni però hanno raggiunto il proprio scopo che è quello di alimentare il proprio ego che si gonfia quando parli in teleconferenza e dici cose intelligenti. Uno invece ha fatto una proposta che è palesemente una presa per il culo, cioè una fregatura per tutti gli altri. Ma è un tizio potente e nessuno ha avuto voglia di rispondergli “ma che cazzo dici”. Intanto la sua proposta finirà nel nulla, almeno spero.
PROSEGUE la preparazione del supporto per ostentare la futura webcam. Questa sera presenterò la struttura nella colonnina dove farò i buchi per fissarla con i Fisher. Poi la dipingerò di un bel bianco satinato e prima o poi andrò on line.