Il potere evocativo della musica.

Due sere fa, festicciola a casa di un amico di sempre. Una di quelle tantissime persone che sono dovute emigrare dalla sterile ed ingenerosa Genova ad una più accogliente e prosperosa Milano per trovare un lavoro. Si è fatto una carriera ed una vita milanese ed ogni tanto rientra ed è una gioia incontrarlo. Trattandosi di appassionato strimpellatore e cantante ma dotato di rara sensibilità, ha evitato accuratamente di sottoporre gli invitati ad uno strazio autoreferenziale come molti invece fanno. Conosco persone che si credono Jimy Hendrix e che torturano gli amici con invereconde prestazioni di una noia mortale, accordi degni del peggior Zecchino d’Oro e voce incurabile. Invece Andrea ha raccontato che casualmente ha conosciuto una band che suona Paul Mc Cartney e li ha scritturati per suonare quella sera. Una parola sulla band: straordinari. Non una ordinary band che fa cover raffazzonate con accordi gratuiti e fastidiosi di canzoni famose (questo accade di frequente).

Invece questi tre, chitarra acustica, basso e tastiera, sono davvero talentuosi, in più il cantante ha realmente la voce di Paul Mc Cartney. E sebbene sia difficile riprodurre una canzone con soli tre strumenti, il risultato finale mi è parso eccellente.

Basta premessa, ecco il sugo. La prima canzone viene annunciata come tratta dal primo album pubblicato da Mc Cartney dopo lo scioglimento dei Beatles, anno 1971. Sono bastati 10 secondi di attacco iniziale e, senza che io lo volessi, quelle note hanno aperto dei circuiti neuronali chiusi da 45 anni. Mi sono rivisto nel salotto di casa all’età di circa 12 anni, ho rivisto il mobile dove mia madre teneva lo stereo, ossia un piatto giradischi e l’amplificatore, ho riascoltato quella canzone per la prima volta dopo un silenzio di oltre 4 decenni ed il mio cervello si è totalmente concentrato su quella musica, sulle sensazioni che provavo allora. Mi sono immobilizzato ed ho certamente assunto una espressione totalmente ebete e beota. Mi sono sdoppiato; una parte era presente nel 2016, una parte rilevante è tornata in quella casa. La focaccetta di Proust mi fa una sega, in confronto.

E ma sticazzi. Non voglio ricamarci sopra facendo diventare un ultrabanale episodio di memoria qualcosa di un minimo interesse umano. Ma qualche brivido mi ha percorso la schiena, sia perchè era una fredda serata ma anche perchè quei circuiti neuronali inattivi chissà dove, hanno avviato un farraginoso processo simile all’avvio di un motore diesel fermo da troppo tempo. Partenza a tre cilindri su quattro, molto fumo, molte vibrazioni e rumori sinistri. E sguardo plusquam beota.

Finita l’esibizione sono andato a chiedere al capo della band che canzone era: mi ha detto che l’album si chiama RAM. Altra scossa emotiva, altri circuiti che si connettono e trasmettono corrente in giro per il cervello, alla cazzo.

RamMcCartneyalbumcover

Mi è tornata in mente la copertina del long playing di vinile. L’ho ricordata quasi esattamente come era e mi si è presentata sulla memoria operativa la ragione per cui non avevo mai più ascoltato quel disco dopo il 1971.

I bambini sono imbecilli ed io non facevo eccezione. L’amplificatore dello stereo di mia madre era a valvole. Alcune diventavano rosse incandescenti e si vedevano brillare attraverso le sottili feritoie di raffreddamento. Insomma, ho lasciato il disco sull’amplificatore dopo averlo ascoltato ed il disco si è mezzo sciolto, assumendo un aspetto ondulato e dunque rendendolo totalmente inutilizzabile. Quel disco ed un altro, Odessa dei Bee Gees. I dischi erano di mio fratello. Mio fratello avrebbe voluto strozzarmi ma mia madre evitò il fratricidio. Allora non c’era nulla di sostitutivo e quelle canzoni furono dismesse per sempre. O meglio, fino all’altro ieri.

Epilogo 1. Tornato a casa nel cuore della notte, ho ascoltato l’intero album di 50 minuti su Youtube. Ricordavo esattamente quale sarebbe stata la canzone successiva, ricordavo perfettamente i suoni dei testi, che allora erano incomprensibili per me e che solo oggi ho potuto capire in plain English. E dopo una mezz’ora di ascolto si sono attivati altri circuiti, questi meno piacevoli. Perchè a 12 anni per me non era un letto di rose, anche se il peggio era ancora da venire. Dunque sono contento di aver riascoltato il disco, ma meglio non insistere.

Epilogo 2. Tra qualche giorno è il compleanno del fratello al quale ho ondulato i dischi rischiando di venir strozzato o accoltellato. Forse ha dimenticato l’episodio, ma non ne sono così sicuro perchè ogni tanto mi guarda strano e sospetto che non mi abbia perdonato del tutto. Allora ho ordinato su Amazon i due long playing in formato CD e glieli regalo con un messaggio di scuse.

Comunque sia, il potere evocativo della musica è superiore al potere evocativo della focaccia ma inferiore al potere evocativo della gnocca, tanto per essere chiari.

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One Response to Il potere evocativo della musica.

  1. Roberto says:

    Odessa dei Bee Gees ha la copertina del 33 giri un poco vellutata al tocco, e il contenuto musicale è assolutamente straordinario. RAM di Sir Paul Mc Cartney è senz’altro notevole, ma non scordiamoci di All Things Must Pass di George Harrison e di tutta la produzione di John Lennon, tutti after Beatles: Ma l’origine era quella, straordinaria ed irripetibile: THE BEATLES! (lacrimuccia).

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