
Mentre imperversava questo breve scroscio di pioggia, sono andato a mangiare nel bar-ristorante che ha riaperto da poche settimane vicino all’ufficio. E’ cambiata la gestione; quella di prima era molto casual-genovese, tipo ” OH NAN, CE NE SONO ANCORA DI GNOCCHI ? – BELIN, DUE PORZIONI E MEZZA“.
La nuova gestione, nei locali rinnovati, è meno casereccia. C’è una ragazzina che serve i tavoli, avrà si e no vent’anni, graziosa. E’ la seconda volta che mi vede ed oggi, mentre aspettavo il mio piatto, è passata è mi ha detto “adesso arriva, caro”. Pensavo di aver capito male, invece quando mi ha servito ha proprio usato di nuovo il termine “caro”.
Mai mi sono sentito così vecchio; il tono mi è sembrato quello delle infermiere di una casa di riposo nei confronti degli ospiti. E ne so qualcosa avendo un incarico in una di queste strutture; conosco il tono cordiale, professionale e caritatevole delle AUSER quando si rivolgono ai pazienti anziani. Ecco, ho avuto la sensazione che la giovine abbia usato il termine “caro” vedendomi vecchio con i capelli grigi, lo sguardo triste e rassegnato, la barba incolta, la camicia sgualcita. Ora; prima o poi diventerò tutto questo, ma pensavo che il processo non fosse ancora, così evidentemente iniziato.