La focaccia col formaggio di Manhattan.

Piccola cucina“. Ci sono passato davanti quasi casualmente e, seppur senza prenotazione, abbiamo trovato un minuscolo tavolino sul marciapiede tra il prefabbricato COVID sulla sede stradale e la botola che porta al seminterrato dentro la quale i fornitori scaricano le provviste.

Il prefabbricato anti COVID, foto di Google Map.

Proprio quando ci siamo seduti ne sono arrivati cinque con un numero significativo di scatoloni, la lingua parlata tra i camerieri ed i corrieri era un terzo spagnolo, un terzo inglese ed un terzo italiano. Quello che scaricava i cartoni dentro lo scivolo della botola sul marciapiede urlava come un ossesso a quello dentro il basement, probabilmente sordo come una campana. Il traffico era bloccato, per diversi minuti a fianco dalla baracca stradale anti covid c’è stato un grosso camion frigorifero che faceva un rumore assordante. Nello scampolo di marcapiede libero tra la mia sedia e la botola con gli scatoloni ed i corrieri ed i loro carrelli si formava la coda dei passanti. Il caos o, in altre parole, New York. Poi i fornitori se ne sono andati, il coperchio di ferro pesantissimo che chiude la botola è caduto con il rumore di un tuono, il traffico si è sbloccato ed è tornato il silenzio, ossia il solito rumore di sottofondo di Midtown che tanto silenzioso proprio non è.

La signora che è venuta a prendere l’ordinazione è probabilmente una second generation italiana, parla italiano con la caratteristica intonazione american-meridionale. In alcuni ristoranti italiani hanno una forma di pruderie che porta i titolari a parlare in inglese, se poi provi a parlare loro in italiano li metti nel panico perchè i camerieri sono quasi tutti ispanici ed io mi guardo bene dal parlare in italiano perchè non voglio metterli in imbarazzo. E poi “filetto mignone” proprio non suona bene.

Ad onor del vero io rifuggo i ristoranti italiani, di tutta New York ne ho provati direi non più di tre in tredici anni. Non perchè non si mangia bene, anzi. Ma in questo ristorante italianissimo c’era un articolo che dovevo provare. La focaccia col formaggio di Recco.

La pasta è un po’ diversa da quella di Recco, il bordo è relativamente duro e croccante. Ci buttano sopra un po’ di erbetta che non c’entra proprio ma che per fortuna non si sente. Però è insindacabilmente focaccia col formaggio ed è molto simile a quella che viene servita a Recco. Insomma è buona. Voto 7 più.

Quando la signora è tornata per chiedere se andava tutto bene, le ho detto che la focaccia era buona e che io ero di Genova. Allora s’è messa a raccontare; il titolare è un siciliano che per ragioni nobili ed encomiabili ha deciso di proporre la focaccia col formaggio di Recco ai neworkesi. Forse è la prima volta che qualcuno ci riesce. Per settimane e settimane ha fatto esperimenti per riuscire a combinare la pasta ed il formaggio disponibile in loco che doveva essere a buon mercato ed in quantità abbondanti. E poi doveva insegnare ai cuochi come si faceva, come si tira la pasta, il formaggio da mettere, l’olio di oliva giusto e la cottura. Sul menù c’è scritto “Fugassa” perchè se scrivi focaccia gli americani si aspettano qualcosa di completamente diverso, e comunque quando un abitante locale chiede cosa è, la signora deve fornire una spiegazione esauriente per evitare situazioni antipatiche. Pare però abbia un discreto successo. Alla fine ci hanno portato due cannoli siciliani in omaggio, ho lasciato una super mancia ed arrivederci.

E mentre io mangio focaccia di Recco a New York, una ritornante difficile da prevedere regala un po’ di pioggia alla bassa alessandrina, proprio in quelle zone semi desertiche dove i miei adorati alberi stentano a crescere. Adesso pare che arrivi una alta pressione potente e persistente per diversi giorni, temperature di nuovo primaverili, insomma non è la fine dell’incubo, ma prendiamo quello che viene.

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Caldo anche qui.

Ventitre gradi di massima il 6 di Novembre è una novità, tanto che qui si parla della maratona con il record di caldo di domenica prossima. Quando andai a vederla a Brooklyn qualche anno fa c’era 1 grado con vento e quella era la normalità. Tra una settimana ci sono le elezioni di mezzo mandato, dove il democratico e leggermente stordito presidente Biden perderà la maggioranza in entrambe le camere del Congresso e per due anni il paese avrà poche chances di vedere nuove leggi bipartisan, perchè qui ormai di bipartisan c’è rimasto veramente poco.

Avevo scritto all’artista del quadro che avevo acquistato due giorni fa. Io faccio queste cose, sopratutto qui. Anzi, solo qui perchè l’attitudine in Italia mi sembra molto meno aperta e soprattutto non acquisto qualcosa che abbia a che fare con l`arte da decenni, molti decenni.

Dear Ms. Adams, I felt in love with a piece of art of yours in a small shop in Lexington Avenue, New York. Now I have it in my home and often spend time watching it very closely. Every inch of it is worth attention because it is so different, so unique, to me it’s like reading a book, there are not two pages alike. I dare to ask you a question; what is the brownish dirt you cleverly use that looks like coffee ground, or is it paper too. My very best regards Stefano

Ed infatti dopo 24 ore la signora mi ha risposto.

Hello Stefano,

Thank you so much for reaching out to me!  I am so pleased you are enjoying Turkey Trot Forest.  And you are correct – the brownish dirt in the piece is coffee grounds.  I sometimes use ground lava, and sometimes mica, for added texture in works, but your piece has coffee grounds.  I find that it is the best substance to recreate that rich color and texture of the forest floor. Nice observation!

I am hoping to get back up to NYC late April, 2023, for a show of some new work.  I hope you may be still in the area.  May I put you on my email list?

Take care and enjoy,

Laura Adams

Naturalmente le risponderò che sarò lieto di finire sulla sua mailing list ma soprattutto le chiederò se mi manda delle sue foto da nuda, io in compenso le manderò delle foto del mio pene, in alta risoluzione e vestito da ballerina. E’ così che si fa.

Una foto ad alta risoluzione eseguita con un microscopio elettronico che mostra il mio belino vestito da ballerina.

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Rifunziona.

Non so se esiste il verbo rifunzionare, insomma la webcam di New York ha ripreso a trasmettere. E’ bastato togliere e rimettere corrente, ossia staccare e riattaccare la spina dell’alimentatore lasciando trascorrere i classici 10 secondi.

All’immigrazione mi è sembrato un ritorno agli anni passati. Dopo una mezz’ora di coda, avvicinandoci allo sportello ho capito che l’ufficiale era implacabile come lo erano una volta. Ad una ragazzina della coda a fianco che probabilmente era l’unica a parlare l’inglese di una famiglia ha chiesto “quanti soldi avete per passare una settimana a New York”. Lei si è rivolta ai genitori che si sono guardati prima di rispondere “millecinquecento dollari”. Ad una coppia ha chiesto di vedere la prenotazione dell’albergo. Quando è venuto il nostro turno mi aspettavo un fuoco di fila di domande, e mi aspettavo che Miriam sbottasse perchè era vestita come Amundsen al Polo e fuori c’erano 19 gradi dunque era sudata e quando suda poi le viene il mal di gola e questa previsione la fa imbufalire. Ed invece per ragioni a me oscure ci ha solo chiesto quanto tempo avevamo intenzione di restare, due battute su Genova che è vicina a Torino, e via, neppure preso le impronte digitali che, in effetti, oramai dovrebbero conoscere ne’ più ne’ meno che le nostre tasche.

Due episodi fondamentali. Per primo, ho assunto due alka seltzer scaduti nel giugno 2021, me ne sono accorto casualmente dopo 24 ore. Il mio telefono con due schede SIM ha smesso di ricevere telefonate, prima una sim e poi l’altra. Fa tutto il resto ma se una persona mi chiama, sente il suono del telefono libero ma a me il telefono non suona. Ho dovuto comperare non uno ma due cellulari nuovi in fretta e furia non senza aver passato precedentemente un’ora buona al telefono prima con il servizio clienti della compagnia telefonica, poi con uno della Samsung. Il quale mi ha spedito in un negozio che si chiama “uBreakiFix”, scritto esattamente così. Il tizio del negozio mi ha detto che proprio il mio modello ha diverse segnalazioni di questo tipo di malfunzionamento, li in negozio le hanno provato tutte ma non c’è stato nulla da fare.

In realtà adesso il negozio si chiama asurion ma l’insegna è ancora quella vecchia.

Adesso però sono io ad essere di nuovo bipolare, due telefoni sono un fastidio perchè non ho assolutamente voglia di andare in giro con due cazzo di telefoni, quello italiano con le app italiane e quello americano con le app americane che uso qui. Alla fine lascio quello italiano sulla scrivania ed esco con quello USA perchè ho uber, curb, l’app della banca e poi perchè se prenoto un ristorante devo dare il numero locale, qualsiasi transazione, acquisto o comunicazione con gli USA devono passare attraverso il mio cellulare di New York altrimenti nessuno mi riesce a trovare, quando fornivo ogni tanto il telefono italiano, sistematicamente veniva sbagliato o perso o non andava bene.

Almeno nel mio quartiere, sembra che la vita sia tornata simile a quella pre-covid. Ci sono ancora alcune vetrine vuote e ancora pochi turisti. Mi pare che le strade siano nuovamente pulite, o meglio mediamente sporche ma nella norma. Durante le ore di punta la metropolitana è a tappo come sempre, i treni in ritardo come sempre, per uscire dalle stazioni si è compressi come le sardine, i marciapiedi sono affollati da gente che corre, attraversare gli incroci anche usando le strisce pedonali è un rischio mortale per gli sciami di delivery su biciclette che girano a velocità da moto GP, silenziosissimi ed anche in contromano.

Come sarà la sensazione di vincere un miliardo di dollari ? Quanti biglietti della lotteria sono stati acquistati per arrivare ad un simile montepremi ? Già 87 milioni non sarebbero da buttar via, ma mille milioni ?

Viaggio – pellegrinaggio a Montauk, poca gente intorno, caldo, aria limpida. Il rientro serale dalla punta del Long Island a New York in questa stagione è caratterizzato dall’avere il sole che è perfettamente sopra la verticale della lunga e rettilinea Interstate che si prende verso ovest. Se per un motivo qualunque non dovesse esserci il parasole in auto, bisogna attendere che il sole sia definitivamente tramontato o si rischia di restare accecati.

Visita a ad un maneggio degli Hamptons. Nella stalla c’è un gradevole profumo, anche i cavalli sono profumati, nessuna traccia di deiezioni equine, tutto ordinato, pulito, perfetto. E poi ci sono gli alberi. Sanissimi, curatissimi, decine e decine di aceri intorno a questo prato verdissimo dove giocano a Polo. La zolla intorno al tronco è impeccabile, pacciamatura priva di un solo filo di erba, tutti hanno una gocciolante, tutti hanno una retina che li protegge, probabilmente dai caprioli che così non cercano di togliersi i palchi fregandoli sui tronchi. Il mio paradiso per come vengono curati e gestiti. Un tuffo al cuore a pensare ai miei alberi della bassa alessandrina che ormai vivono in un clima stabile siccitoso ed hanno dunque vita difficile.

Anche qui però il cambio climatico si fa sentire; questi alberi a Midtown, Lexington Avenue, sono protetti da juta come faccio io a Basaluzzo per evitare che il sole rovente bruci le cortecce, uccidendo la pianta. Qui sono in ritardo per toglierli, ma probabilmente li lasciano e basta. E, proprio nei verdissimi Hamptons, questa estate hanno dovuto razionare l’acqua consentendone l’uso per bagnare prati e piante solo per mezz’ora e solo di sera. Non è la prima volta che succede ma non era mai successo prima del 2000. E poi se la mattina ci sono due gradi e la brina sui prati, a mezzogiorno ci sono 22 gradi e si mangia all’aperto, cosa che a fine Ottobre quì è una novità assoluta.

Il mio ultimo acquisto di arte. Sono entrato casualmente in un piccolo negozio pieno di artefatti in legno, ferro, vetro, su una parete era appeso questo. Amore a prima vista. Non è un dipinto, ma un collage di infiniti pezzettini di carta sovrapposti ed incollati con resina.

Carta raffinata o grezza presa dal Giappone, dall’India, dal Nepal ed anche dall’Italia. Tagliata in striscioline, quadratini, triangolini o sfilacciata, riposta in strati su strati, un lavoro certosino, quasi maniacale, magico impiego di risorsa umana ed energia, una pazienza quasi autistica, ogni centimetro quadrato del quadro contiene qualche carta diversa, sovrapposta ad altre carte di cui spunta qualcosa di diverso. Tutto ciò mi attira enormemente, solo poco meno della Raclette. Il risultato mi piace moltissimo, alla vista ed anche al tatto. Ho provato a dire a Miriam che mi piacerebbe dormire con questo quadro sotto le lenzuola per sentirne il complesso intrigo di stratificazioni, ma ha detto di no. Mi resta il dubbio di cosa ha usato per quei granuli marroni che a prima vista sembrerebbero fondi di caffè. Ho un contatto dell’artista, glielo chiederò. chissà se mi risponderà.

Piccola Cucina Restaurant.

Che io sappia, questo è un rarissimo caso di ristorante di New York che offre la focaccia col formaggio di Recco, forse l’unico. Fondato da un siciliano emigrato a New York, in realtà il tizio è molto più ambizioso e capace, di Piccola Cucina ce ne sono almeno tre a New York ed uno a Ibiza. Questo è un piccolo ed affollatissimo posto a Midtown, luogo dove ci si va di giorno per lavoro e di sera per diletto. Non è nei miei giri, non ci sono mai stato e ci sono passato davanti per caso. In teoria infrangono il diritto dei focacciari di Recco che, con non so quale dispositivo di legge, detengono l’unico diritto a chiamare una focaccia “di Recco”. Tutti gli altri, fossero anche a Camogli, non possono vendere o servire focaccia di Recco, pena il taglio della lingua o altre pene detentive o pecuniarie. In questo ci devo andare, sono curioso di assaggiarla.

Come si traduce “fugassa” in Inglese ? Se lo sono chiesto anche loro credo, ed alla fine hanno pensato che il termine a) è intraducibile oppure b) è comprensibile e perfettamente delineato in Inglese, un po’ come pizza. Fugassa semplice infatti viene tradotto in simple fugassa.

A Genova una porzione di focaccia col formaggio costa 9 Euro, qui 21 Euro (con le tasse).

Halloween. Miriam è andata in giro per le strade piene di gente mascherata con amici e figli degli amici. Era vestita di nero con una grossa parrucca nera, un cappello a falde nero, una mascherina nera, rossetto abbondante modello bagascia. Insomma un corvo con funzioni di sesso a pagamento. Ho un paio di foto ma se decidessi di pubblicarle metterei a repentaglio la mia vita.

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Mi consolo con un fungo.

Non suona affatto bene, sono il primo a vedere un doppio senso volgare. Questo autunno che sempre più si sta rivelando un autunno-merda dopo una estate-merda, non regala pioggia che si possa chiamare tale, ma è pieno di funghi.

Dalla foto è impossibile capire la dimensione di questo fungo; il diametro è pari ad un palmo (di mano). Ci sarebbe una APP che riconosce i funghi, ma ho letto che non è molto accurata e pare che qualcuno sia già finito intossicato al pronto soccorso dopo aver usato questa APP.

A proposito di mano, in un ristorante di Ovada oggi avevo necessità di aggiungere un po’ di sale alla pietanza, ho addocchiato una ragazza poco distante che faceva servizio ai tavoli e non so come, dopo che ho attirato la sua attenzione, le ho fatto silenziosamente il gesto di chi agita la saliera per fare uscire il sale. Gesto che però è venuto fuori identico al gesto di chi imita una sega. Per fortuna la ragazza ha capito che volevo il sale, altrimenti sarebbe stato ancora più imbarazzante, come se avesse risposto qualcosa tipo “per queste cose le chiamo la titolare”. Miriam mi ha guardato sbigottita e poi ha riso per un minuto buono.

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Io, rotto.

Quando venni al mondo mi fu regalata una ceramica rappresentante un bambino con dipinti in bei caratteri corsivi il mio nome e la mia data di nascita. Regalo carino, anche se di biondo non ho mai avuto nulla. Probabilmente il biondo era lo standard, sarà stata bionda anche la bambina. Questa ceramica, appesa al muro della mia cameretta, vi rimase per diversi anni fino all’adolescenza quando, probabilmente in un momento di ribellione ormonale, la rimossi, immagino con spregio, e poscia finì in qualche cassetto. Successivamente, terminata la pubertà e l’adolescenza, riemerse. Siccome mi era sembrato un bel ricordo, la rispoleverai e la misi nuovamente in bella mostra.

Passarono gli anni; un giorno il quadretto cadde per terra finendo in numerosi pezzi. Lo incollai su un foglio dattiloscritto azzurro preso a caso, come colla usai del Vinavil. Il lavoro non fu di particolare finezza, ma resistette così per almeno un decennio.

Ed un giorno lo ritrovai nuovamente in frantumi. Allora decisi di sistemarlo per bene, questa volta. Volendo togliere il Vinavil precedentemente usato in modo sconsiderato, immersi tutti i frammenti in una bacinella di acqua e lo lasciai per una notte. Il giorno dopo scoprii che il Vinavil si staccava facilmente ma – orrore – veniva via anche la scritta che recitava

Stefano 7-02-61

e della quale riuscii a salvare solo pochi frammenti. In presenza di un manufatto difficilmente restaurabile, lo stesso è rimasto per almeno 3 anni in un cassetto in ordine sparso.

Oggi l’ho ricomposto; ma invece di tentare una inutile ricostruzione del pezzo così com’era originariamente, l’ho rimesso su una tela in un ordine che rappresenta il decadimento di tutto quanto mi riguarda, testa e corpo. Resta la faccina da bambino, capovolta su un cumulo di detriti.

Appena la colla si asciuga, lo appenderò nella mia cameretta, come 61 anni fa.

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Dita incrociate.

Questa sarebbe la prima, vera perturbazione atlantica che arriva sulle assetate regioni di nord ovest, ho perso il conto da quanto tempo non ne arriva una. Ci potrebbe essere l’occasione per qualche fenomeno intenso che nessuno si augura, ma di pioggia ce ne sarebbe un enorme bisogno. O, come si dice a Genova, “… ce ne sarebbe di bisogno”

PS; queste bagascie ritrattano quasi sempre, mai metterci il cuore sopra.

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Cose superflue.

I sostegni verranno rimossi quando il cemento si sarà indurito come le mie vertebre cervicali.

Mi avanzava da qualche anno un palo di sei metri che avevo acquistato a Cuneo in un momento di temporanea inconsistenza neuronale. Finalmente ho deciso di metterlo in opera, reggerà una o due webcam perchè questo è il mio hobby senile. Da lassù si dovrebbe godere una buona vista, non ho ancora deciso come orientarle, dovrò andare per tentativi.

Resta da appurare come cazzo ci arrivo a montare le webcam a sei metri di altezza. E, sapendo come funziona l’installazione di una webcam, dovrò salire diverse volte, almeno inizialmente, e poi limitarmi a togliere saltuariamente ragni ed altri piccoli animaletti che andranno a rompere i coglioni proprio davanti alla lente.

Sostanzialmente ci sono due metodi. Il primo è una scala; ho dato un’occhiata su Internet e ce ne sono di diversi modelli, alcuni costano €200, altri apparentemente fanno la stessa cosa ma costano €800. Avrei bisogno di un esperto in scale per capire se la differenza di prezzo è in qualche modo proporzionale alla possibilità di schiantarsi a terra per un cedimento della stessa scala.

Il secondo metodo è quello di dotarsi dei ramponi studiati apposta per salire proprio sui pali di legno. Anche in questo caso mi mancano le basi per capire i diversi modelli in vendita e perchè alcuni costano €79 ed altri €1.100. Anche in questo caso è possibile che più si spende e meno si ha la possibilità di finire al pronto soccorso con fratture varie.

Ci sarebbe una terza opzione; si tratta di staffe di ferro a forma di “L” che si infilano nel palo in modo da formare degli appoggi sui quali salire, uno a destra ed uno più in alto dalla parte opposta a guisa di scalini. Per assicurarmi al palo userei l’imbragatura che usavo per fare le ferrate, credo sia in uno scatolone in cantina. Circa le staffe, sono abbastanza sicuro che si vendono on line anche se ad una prima sommaria ricerca vengono fuori articoli non esattamente attinenti a quanto sto cercando. Per questa soluzione ho tuttavia qualche riserva di carattere estetico. Ho già ricevuto qualche lamentela per il palo, se ancora gli applico dei gradini temo reazioni sconsiderate.

Allo stato attuale della ricerca, credo che mi orienterò sulla scala. Nel caso sopra preso a caso da Amazon, il produttore che decide di chiamare una scala “Peppina” mi infonde qualche dubbio sulla solidità che ci si aspetta quando si è a sei metri dal suolo. “Ero sulla Peppina che ha ceduto di schianto” è una frase che al medico di guardia dell’Ospedale di Novi Ligure suonerebbe quasi offensiva.

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Gradevolissimi.

Molto meglio dei coiti interrotti che si sono succeduti a partire dallo scorso Maggio. Venticinque millimetri in circa 36 ore sono manna che cade dal cielo, vederli tutti insieme nel grafico dell’ARPA fa bene al cuore.

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Mazze Di Tamburo

Secondo me, chi studia i funghi dice di saperne qualcosa ma la realtà è che la scienza non ha la più pallida idea di cosa siano e tra i ricercatori si sta diffondendo il sospetto che siano alieni mandati sulla terra per ucciderci tutti. Ho mangiato questi dischi rotondi una volta, non ricordo come, forse grigliati o saltati in padella.

Diciamolo; il vino bianco denominato Gavi è una intelligente invenzione commerciale, ma una buona parte del vino di Gavi sembra un preparato chimico fatto apposta per far venire la cirrosi e se, accompagnato dalle Mazze di Tamburo, uccide più del COVID. Molto meglio il vino rosso che si produce da queste parti, ce ne sono di ottimi e costano poco, i vignaioli sono brave persone cordiali ed esportano in tutto il mondo. Qualcuno è meno cordiale si altri.

Non è una bella mano. Funziona, fa tutto quello che deve fare e ciò mi basta, ma sembra una propaggine di Jabba The Hutt. Con un ardito percorso mnemonico guardando questa immagine mi viene in mente un breve filmato che ho visto di una comica americana che non conosco che raccontava che il suo ex marito aveva il pene che lei chiamava “a bottone” ossia non pende a destra o a sinistra ma spunta dalla pelvi così minuscolo e dritto che sembra ti stia guardando e ti vien voglia di premerlo per vedere se esce un chewing-gum dal sedere.

Una foto con pretese, una rosa autunnale con sfondo di foglie gialle. In realtà però la rosa non è di questo colore, è rossa scarlatta, quasi porpora. Perchè cazzus io non riesca a farla venire del colore giusto, mi sfugge come un gas raro.

Questo è un secondo tentativo mastrussando la luminosità. Si avvicina all’originale ma il resto è quasi nero. Non sono proprio capace.

Oggi, domenica, cinque millimetri di pioggia che sono meglio di zero millimetri di pioggia. Ma siamo sempre in siccità, non ci si faccia ingannare dai prati che adesso hanno del verde.

Ieri cena con un gruppo di amici alpini che ogni anno si incontrano tra Genova, il Friuli e la Lombardia. Età media intorno agli 80. Persone eccezionali, una tempra invidiabile. Hanno fatto qualche turismo per due giorni, quando vanno in giro indossano sempre il cappello con la piuma. Uno di loro mi ha raccontato che un paio di ragazzi si sono avvicinati ed hanno chiesto “avete fatto la prima o la seconda guerra mondiale” e non stavano scherzando, così mi è stata raccontata. Uno stava per rispondere “abbiamo fatto le guerre puniche” ma si è trattenuto.

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Il secondo Siliquastro.

Qui c’era un Carpino, uno dei primi alberi che avevo messo a dimora nel 2006. Il secco perdurante lo ha indebolito, l’anno scorso è seccata una metà, quest’anno la seconda metà. Togliendo il ceppo si è anche scoperto che non aveva sviluppato un granchè di radici, perchè la terra è quella che è.

Al suo posto un Siliquastro. Gli indiani d’America dicevano che gli alberi hanno un’anima e che quando se ne taglia uno, bisogna mettere un albero giovane al suo posto in modo che l’anima dell’albero abbattuto trovi rifugio nel nuovo arbusto. Bella leggenda e mi piacerebbe crederci, comunque sia adesso un Albero Di Giuda è stato messo esattamente dove c’era il Carpino. Gli auguro buona fortuna, farò tutto il possibile per dargli acqua e nutrimento e farlo attecchire bene, sono alberi resistenti, spero per lui.

Spero bene anche perchè il suo prezzo in vivaio è quasi raddoppiato rispetto a pochi anni fa. Una volta con €290 comperavi un Liquidambar, forse l’albero più costoso nei vivai che frequento. Si, d’accordo, è alto, ma i prezzi sono palesemente aumentati di un botto.

Intanto sta lentamente arrivando l’autunno, alcune piante hanno iniziato a cambiare colore e le prime foglie gialle sono al suolo. Io do troppo peso alle sensazioni che provo guardando gli alberi e fatalmente attribuisco loro percezioni che non credo siano plausibili. Insomma mi sembra che molte piante siano arrivate al riposo vegetativo stremate per la merda di estate appena terminata e che non vedano l’ora di richiamare la linfa delle foglie ed andare in stand-by meritato.

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